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giovedì 12 febbraio 2015

UN SABATO TRANQUILLO AL MUSEO DEL CRETINO

Un transito in fretta nella città dove abito giusto per il cambio bagaglio; non è un segreto per chi mi conosce che non nutra un amore particolare sviscerato per la città dove, per i casi della vita sono finito ad abitare.
Professionalmente parlando non mi ha mai dato niente, per i casi della vita appunto, ci abito e basta e qualche volta ci torno a dormire.
Attraverso il centro tra il mercato degli ambulanti che stanno smobilitando più presto del solito, persone con le borse della spesa stanno rincasando in fretta, mamme e papà che vanno a prendere i figli a scuola di fretta.
Anche il corso è deserto, un signore, (un c.q., un coglione qualsiasi) chiuso nel suo giaccone di montone, il cappello a tesa larga con la piuma, un flute di prosecco in una mano e il sigaro nell’altra, all’ora dell’aperitivo irride i negozianti intenti ad imbottire per proteggerle, le vetrine con gomma piuma nascosta sotto fogli di giornali e sacchi di plastica chiedendo se si stanno preparando alla presa della Bastiglia, non sapendo ancora cosa si sta preparando da li a poco.
Ostaggio mio malgrado (deve essere una nuova forma di promozione turistica quella di regalare chiavi in mano per un sabato una città a un gruppo di delinquenti, teppisti e vigliacchi) in una città messa a ferro e fuoco, rinuncio a partire perché anche la stazione è presa di mira.
Cercando come tutti quelli rimasti intrappolati nelle vie del centro, una via di fuga che mi consenta di tornare a casa, tra la nebbia dei fumogeni, pali divelti della segnaletica scavalcati, costeggiando vetrine di attività commerciali e banche sfondate,  incrocio una giovane adelante companera, secondo me part time (ha tutta l’aria di una che, durante la settimana, non bevuta e non fumata potrebbe essere una normale impiegata, operaia o studentessa)  avvolta nel suo eskimo che puzza di un misto di canna, fumogeni e vino rosso,  mi dice che se la seguo in un portone dentro a un vicolino, in cambio di qualche spicciolo  potrebbe organizzare qualche cosa.
Rientro a casa dopo più di tre ore,  penso che dopo quello che ho visto,  se fosse grandinato con chicchi grandi come palloni da basket  i danni sarebbero stati minori. Accendo la tv, l’unica della città, quella del cavaliere, trasmette la pubblicità dei suoi tubi e un concerto di due che suonano, uno il pianoforte e l’altra il violino.
Riesco a partire se non l’indomani mattina presto per raggiungere la mia squadra. Sul treno per Milano ritrovo l’adelante companera che, finita la fiesta probabilmente sta rientrando a casa.
Non mi riconosce e non avevo dubbi, questa volta mi racconta che,  siccome è senza biglietto e non ha i soldi, se la seguo nei bagni del treno per qualche spicciolo potrebbe organizzare qualche cosa.
Viene trovata senza il biglietto e con il coraggio dei cagasotto (quelli forti nel branco ma che presi uno ad uno si riempiono le mutande) scoppia a piangere.
Me ne frego e continuo a leggere il giornale, sugli striscioni nelle fotografie degli articoli leggo che  pagheremo caro che pagheremo tutto e scritte con richieste di solidarietà.
Sorrido perché in fondo è vero, a pagare saremo ancora una volta noi, come sempre, magari anche in comode rate mensili a partire dalle prossime bollette ma sempre e comunque solo noi.
Anche sulla solidarietà sono d’accordo, però a chi negli ospedali non ha potuto ricevere il conforto dei parenti perché a mezzi pubblici e ai taxi era impossibile circolare ed a chi ha avuto in un giorno solitamente dedicato al relax e al riposo,  un sabato di ordinaria follia preannunciata e largamente prevedibile, in una città che mi piace sempre di meno, l'attività commerciale distrutta e a chi ha visto i sacrifici di una vita andati in un fumo che si confonde con quello delle bombe incendiarie e dei lacrimogeni.


Carlo Feroldi – www.carloferoldi.weebly.com
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